Come tutte le mostre alla Magnani Rocca, anche questa nasce da un quadro della collezione permanente, il piccolo “Combustione” del 1961 che Magnani voleva togliere dal muro durante una visita in villa di Giorgio Morandi e che invece quest'ultimo definì “un vero, autentico artista, il migliore dei moderni”, evidenziando così il massimo rigore progettuale e spaziale di Burri.
Alberto Burri, nato a Città di Castello (dove ha sede la Fondazione Burri, che espone le opere del Maestro nella suggestiva sede degli ex seccatoi di tabacco), aveva studiato da medico e con tale qualifica si era arruolato durante la seconda guerra mondiale. Fatto prigioniero in Tunisia nel 1943, fu trasferito in Texas: nel momento più buio e doloroso della vita, quando pensa di non avere scampo, Burri rinasce a una nuova vita, quella artistica, scoprendo un lato di sé che forse in altre condizioni non avrebbe mai espresso. Da subito rivela l'interesse per la materia colorante stesa con notevole spessore su una tela dalla trama molto evidente, evitando di “spiegare” la sua pittura, poiché sosteneva che un “fatto visivo” non possa essere spiegato con le parole.
In mostra, con selezionate e significative opere, viene seguito l'intero percorso dell'artista; dal 1950 assumono rilievo i sacchi; dal 1960 appaiono i legni, i ferri, le plastiche e le combustioni; dal 1970 inizia una progressiva rarefazione di mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali. Catrami, muffe e sacchi costituiscono la struttura dell'opera d'arte, insieme a pomice, segatura, indumenti dismessi, plastica, legno e ferro: secondo Burri l'arte è stata assolta dal compito di descrivere il mondo che ci circonda, un mondo di cui però è parte integrante e che rappresenta, inevitabilmente, in composizioni che rispettano i canoni della classicità. Le cornici sono sobrie ed essenziali, i titoli privi di significati simbolici o provocatori (o distruttivi, come invece nei dadaisti a cui a volte è impropriamente accostato).
Per Burri l'elemento essenziale è l'equilibrio, non trasforma la materia ma ne esalta la potenzialità espressiva, che sarebbe sfuggita agli occhi assuefatti a vederla nei contesti di uso quotidiano. Nelle combustioni il fuoco aggredisce i materiali ed è la variante da tenere sotto controllo; i cretti sono realizzati con una mistura di terra e colla e riprendono l'effetto naturale della terra che si spacca a causa della siccità; i cellotex, compressi per uso industriale, prima sono materiali di supporto poi diventano protagonisti, come i sacchi.
L'amore per il nero dura oltre un decennio (in mostra opere “nere” dal 1972 al 1988), durante il quale l'artista ne scopre le infinite sfumature e le implicite valenze poetiche. I maestosi neri e oro della fine del percorso (1990/1994) sono opere di grande respiro spaziale, l'ulteriore ricerca della potenzialità del nero, che fa risaltare l'oro in foglia in modo unico, giocando sul contrasto fra le due materie pittoriche.
Emozionante il “Rosso plastica” del 1962 al quale la foto in catalogo non rende giustizia: nell'originale il sipario plastico combusto e luminoso, pieno di riflessi, spalanca un vuoto così oscuro e opaco che suscita smarrimento. Poi ci si rintempra passeggiando nel bellissimo parco attorno alla villa.
Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani Rocca, fino al 2 dicembre 2007, aperta tutti i giorni dalle 10 alle 18 (lunedì chiuso), ingresso euro 8,00, catalogo Silvana Editoriale, infoline 0521.848327, sito internet www.magnanirocca.it.
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